La situazione dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali
Luglio-Settembre 2023 Fonte Istat
Alla fine di settembre 2023, i 42 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 46,0% dei dipendenti – circa 5,7 milioni – e corrispondono al 45,2% del monte retributivo complessivo. Nel corso del terzo trimestre 2023 sono stati recepiti due contratti: società e consorzi autostradali e pelli e cuoio. I contratti in attesa di rinnovo – a fine settembre 2023 – sono 31 e coinvolgono circa 6,7 milioni di dipendenti, il 54,0% del totale. Tra settembre 2022 e settembre 2023, il tempo medio di attesa di rinnovo per i lavoratori con contratto scaduto è diminuito da 33,9 a 29,1 mesi; per il totale dei dipendenti da 17,2 è sceso a 15,7 mesi. Nei primi nove mesi del 2023, la retribuzione oraria media è del 2,6% più elevata di quella registrata nello stesso periodo del 2022. L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie, a settembre 2023, è stabile rispetto al mese precedente e aumenta del 3,0% rispetto a settembre 2022; l’aumento tendenziale è stato del 4,5% per i dipendenti dell’industria, dell’1,6% per quelli dei servizi privati e del 3,3% per i lavoratori della pubblica amministrazione. I settori che presentano gli aumenti tendenziali più elevati sono: attività dei vigili del fuoco (+11,3%), settore metalmeccanico (+6,2%) e servizio sanitario nazionale (+5,9%); l’incremento è nullo per farmacie private e per pubblici esercizi e alberghi.
Le cause della crisi dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali
La situazione dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali in Italia è da tempo critica e problematica. Le cause sono molteplici e si intrecciano tra loro:
- La frammentazione e la debolezza della rappresentanza sindacale, che rende difficile la negoziazione collettiva e la tutela dei diritti dei lavoratori.
- La crisi economica e sociale provocata dalla pandemia di Covid-19, che ha colpito duramente il mercato del lavoro, aumentando la disoccupazione, la precarietà e la povertà.
- La concorrenza internazionale e la globalizzazione dei mercati, che hanno esposto le imprese italiane a una pressione competitiva sempre maggiore, spingendole a ridurre i costi del lavoro e a ricorrere a forme di flessibilità spesso abusive.
- La mancanza di una normativa nazionale sul salario minimo di legge, che garantirebbe un livello minimo di retribuzione a tutti i lavoratori dipendenti, indipendentemente dal settore di appartenenza e dal tipo di contratto.
Gli effetti negativi della crisi dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali
La crisi dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali ha effetti negativi sia per i lavoratori che per le imprese e per l’intero sistema economico. Tra questi effetti si possono elencare:
- La riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori, che si traduce in una minore domanda interna e in una minore crescita economica.
- L’aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche tra i lavoratori, che crea tensioni sociali e politiche e mina la coesione sociale.
- La perdita di competitività delle imprese, che si trovano a dover affrontare una concorrenza sleale da parte di quelle che praticano il dumping salariale e sociale.
- La diminuzione della qualità del lavoro, che si riflette in una minore produttività, in una maggiore insoddisfazione e in una maggiore conflittualità.
Le possibili soluzioni per superare la crisi dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali
Per superare la crisi dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali è necessario intervenire su più fronti, con una visione strategica e condivisa tra le parti sociali e le istituzioni. Tra le possibili soluzioni si possono indicare:
- Il rafforzamento della rappresentanza sindacale, attraverso la promozione dell’adesione volontaria dei lavoratori, la semplificazione delle procedure di rappresentanza e di contrattazione, la valorizzazione del ruolo della contrattazione di secondo livello.
- Il sostegno alla ripresa economica e sociale, attraverso la realizzazione degli investimenti pubblici previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la riforma del sistema fiscale e previdenziale, la promozione delle politiche attive del lavoro e della formazione continua.
- Il rilancio della competitività delle imprese, attraverso l’innovazione tecnologica e organizzativa, la digitalizzazione, la transizione ecologica, l’internazionalizzazione, la qualificazione dell’offerta produttiva e dei servizi.
- L’introduzione di una normativa nazionale sul salario minimo di legge, che fissi un livello minimo di retribuzione oraria per tutti i lavoratori dipendenti, adeguato al costo della vita e al livello di sviluppo economico del Paese.
Il salario minimo di legge: perché è necessario per l’Italia
Tra le possibili soluzioni per superare la crisi dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali, quella che merita una particolare attenzione è l’introduzione di una normativa nazionale sul salario minimo di legge. Si tratta di una misura che esiste già in molti Paesi europei e che consiste nel fissare un livello minimo di retribuzione oraria per tutti i lavoratori dipendenti, indipendentemente dal settore di appartenenza e dal tipo di contratto. Il salario minimo di legge ha lo scopo di garantire un reddito dignitoso ai lavoratori, di contrastare il dumping salariale e sociale, di ridurre le disuguaglianze e di stimolare la crescita economica.
Il salario minimo di legge non è in contrasto con la contrattazione collettiva, ma ne è un complemento. Infatti, il salario minimo di legge stabilisce un livello minimo al di sotto del quale non si può scendere, ma non impedisce ai contratti collettivi di prevedere retribuzioni più elevate in base alle specificità dei settori e delle categorie. Inoltre, il salario minimo di legge non è fisso, ma deve essere adeguato periodicamente al costo della vita e al livello di sviluppo economico del Paese.
Il salario minimo di legge è una misura necessaria per l’Italia, perché il nostro Paese presenta una situazione anomala rispetto agli altri Paesi europei. Infatti, l’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha una normativa nazionale sul salario minimo di legge, ma si affida esclusivamente alla contrattazione collettiva. Tuttavia, come abbiamo visto, la contrattazione collettiva in Italia è in crisi e non riesce a garantire una copertura adeguata a tutti i lavoratori. Di conseguenza, in Italia esistono milioni di lavoratori che ricevono retribuzioni inferiori al livello considerato dignitoso dall’Unione Europea (60% del reddito mediano nazionale).
Secondo i dati dell’Istat, nel 2022 circa 3 milioni di lavoratori dipendenti (il 12% del totale) hanno ricevuto una retribuzione oraria inferiore a 9 euro lordi (7 euro netti), considerata come soglia indicativa per il salario minimo in Italia. Tra questi lavoratori si trovano soprattutto giovani, donne, immigrati, precari, e part-time. Questi lavoratori sono esposti a un alto rischio di povertà, di esclusione sociale e di sfruttamento.
L’introduzione di una normativa nazionale sul salario minimo di legge avrebbe degli effetti positivi per questi lavoratori, ma anche per l’intero sistema economico. Infatti, il salario minimo di legge:
- Migliorerebbe il reddito e il benessere dei lavoratori a bassa retribuzione, aumentando la loro domanda di beni e servizi e stimolando la crescita economica.
- Ridurrebbe le disuguaglianze sociali ed economiche tra i lavoratori, creando una maggiore equità e coesione sociale.
- Contrasterebbe il dumping salariale e sociale, garantendo una concorrenza leale tra le imprese e incentivando l’innovazione e la qualificazione del lavoro.
- Sarebbe compatibile con la contrattazione collettiva, che potrebbe continuare a regolare gli aspetti non economici del rapporto di lavoro e a prevedere retribuzioni superiori al salario minimo in base alle specificità dei settori e delle categorie.
Una sfida da affrontare con fiducia e impegno
In conclusione, l’Italia ha bisogno di una normativa nazionale sul salario minimo di legge, che garantirebbe un livello minimo di retribuzione a tutti i lavoratori dipendenti, adeguato al costo della vita e al livello di sviluppo economico del Paese. Si tratta di una misura necessaria per superare la crisi dei contratti collettivi e delle retribuzioni contrattuali, che ha effetti negativi sia per i lavoratori che per le imprese e per l’intero sistema economico. Il salario minimo di legge non è in contrasto con la contrattazione collettiva, ma ne è un complemento. Il salario minimo di legge non è fisso, ma deve essere adeguato periodicamente al costo della vita e al livello di sviluppo economico del Paese.
Il salario minimo di legge è una sfida che richiede una forte capacità di reazione e di adattamento da parte delle parti sociali e delle istituzioni. Per introdurre una normativa nazionale sul salario minimo di legge è necessario un ampio confronto e un largo consenso tra i vari attori coinvolti: sindacati, imprese, governo, parlamento, società civile. Solo così si potrà garantire una misura efficace, equa e sostenibile, che tuteli i diritti dei lavoratori, promuova la competitività delle imprese e favorisca la crescita economica e sociale del nostro Paese.